“Elegir el destino” in italiano può suonare drastico e definitivo, ma in spagnolo significa anche, semplicemente, “scegliere una destinazione”. Per adesso, per un viaggio, non per sempre.

Mi accomodo nel gioco di parole e in una riflessione che mi accompagna da qualche giorno: scegliendo di ribaltare il punto di vista mondano che ha contraddistinto i miei primi 42 anni (passati a Roma), spostando lo spazio della quotidianeità, al momento, in uno strettissimo paese (El Toboso) al centro di un larghissimo Paese (la Spagna), ho scelto una destinazione o, senza per altro dare troppo peso al gesto, ho cambiato il mio destino?

Non che mi preoccupi dimostrare di conoscere la risposta, a dire la verità, ma lo spunto mi sembra interessante.

1. L’unità di misura della distanza

La distanza non si misura in chilometri, ma nella facilità (o difficoltà) di mantenere il contatto con quello che si è lasciato al punto di partenza. Così che mi arrendo di fronte all’evidenza di ritrovarmi accompagnata, in questo viaggio, da alcuni punti fermi della mia vita di sempre, mentre fioriscono lontane e insospettabili amicizie e si sciolgono, con mio stesso stupore, lacci che credevo di aver stretto bene. In generale: l’interesse spirituale e condiviso per la vita dell’altra persona crea una distanza pari a zero; l’interesse pratico però condivisibile tramite la moderna tecnologia crea una distanza simile a quella esistente tra casa e lavoro nella metropoli in un giorno di medio traffico… sepoffà; l’interesse pratico non condivisibile a distanza fa cadere il ponte.

2. A giorni le scelte sono grandi, a giorni piccole

Ho imparato con il tempo che le scelte vanno sezionate, ridotte a piccoli passi da compiere in successione e accettate o scartate un pezzetto alla volta. Altrimenti rischia di sembrare spaventoso anche quello che non lo è per niente. Così guardo alle mie giornate da quaggiù. Mi chiedo una decina di volte al giorno se sto facendo quello che desidero e se lo sto facendo con impegno, e siccome la risposta è quasi sempre sì sono ancora qui… a chiedermelo. Certo, ci sono anche volte che la logica ferrea mi abbandona, e che per soffocare il brivido dell’insicurezza non basta più neanche il braciere sotto il tavolo.

3. Che c’entri tu con Cervantes?

Bella domanda! Però è seria o ironica? 🙂 Quando sono arrivata nella Mancha per la prima volta due anni fa non conoscevo la differenza tra i mulini mancheghi e quelli olandesi, non sapevo che Cervantes avesse viaggiato tanto per l’Italia né che perfino la Sicilia fosse una terra a lui familiare. Del Don Quijote sapevo quello che sanno la maggior parte delle persone, il riassunto superficiale, e di questa regione assolutamente niente.
La curiosità mi ha intrappolato. E in tutta sincerità oggi credo che sia impossibile rimanere indifferenti di fronte alla peculiarità dell’esperienza di questo scrittore, alla sua capacità di vivere drammaticamente e scrivere in maniera universalmente “comica”, di trasmettere un senso di umanità così profondo attraverso uno sguardo di volta in volta lieve, feroce, sarcastico o chirurgico sulla realtà… del XVII secolo! Per non parlare degli effetti del contagio sui lettori: ho conosciuto diversi cavalieri andanti contemporanei e posso affermare che si tratta di una aspirazione sana e in grado di generare benessere.

Insomma mi piace lavorare su questo progetto, Viajar con Cervantes. Godo di buona letteratura, ne approfitto per ripassare un po’ di storia, procedo in buona compagnia, e vedo piano piano realizzarsi nelle mie mani l’idea e la proposta di un turismo curioso e responsabile, come sempre l’ho concepito.

E mentre cambio spesso destinazione, tra una vertigine e un sorriso, tra una perdita e una scoperta, mi chiedo se non stia cambiando anche il mio destino.